venerdì 30 settembre 2011

Nel paese della democrazia diretta: Capannori, dove a decidere sono i cittadini



La giunta, ha infatti deciso di stanziare 400mila euro e sarà una commissione scelta “dal basso” a stabilire in quali progetti investire.
E’ più urgente riasfaltare la strada, costruire il parco giochi o sistemare l’illuminazione pubblica? A Capannori, in provincia di Lucca, lo decidono i cittadini. La giunta di Giorgio Del Ghingaro, ha infatti deciso di stanziare 400mila euro e sarà una commissione scelta “dal basso” a stabilire in quali progetti investire. 
Un’iniziativa che porta i residenti a condividere e discutere le priorità del territorio, dai marciapiedi agli spazi pubblici, e ad entrare in modo trasparente nelle pieghe del bilancio comunale.
“L’idea nasce da un percorso di partecipazione inaugurato qualche anno fa con il varo di quattro commissioni partecipate su rifiuti, acqua, mobilità e barriere architettoniche”, spiega Giorgio Del Ghingaro, sindaco di Capannori dal 2004, oggi al secondo mandato. “La commissione di questo nuovo progetto, avviato attraverso un bando della Regione Toscana, rappresenta proporzionalmente i 46mila residenti. Infatti include quattro immigrati che sul territorio sono il 6% della popolazione”. L’unica percentuale che il Comune ha voluto “ritoccare” per eccesso è quella che riguarda i giovani tra i 18 e i 35 anni, troppo spesso emarginati dalla vita istituzionale anche nelle piccole amministrazioni.
Per garantire la massima trasparenza nella selezione della commissione, una ditta specializzata ha reclutato telefonicamente per conto del Comune un campione rappresentativo di 80 cittadini, divisi equamente tra maschi e femmine . Nel gruppo decisionale, monitorato da un comitato di garanzia di cinque membri che include un consigliere di maggioranza e uno di opposizione, non può accedere chi ricopre una carica politica o è presidente di un’associazione. I cittadini quindi partecipano al percorso di elaborazione degli interventi fino alla votazione finale dell’election week a dicembre, momento in cui stabiliranno come investire i 400.000 euro stanziati. Le opere scelte saranno realizzate entro il 2012 e i lavori sono già iniziati da oltre un mese.
“Finora hanno ascoltato i dirigenti del Comune per conoscere i problemi e le aree di intervento prioritario. Al termine della fase informativa discuteranno suddivisi in base alla circoscrizione per poi confrontarsi collettivamente. Poi entro il 31 dicembre, al termine dell’election week, voteranno i progetti da finanziare che la giunta adotterà porterà in consiglio comunale”. Il sindaco ricorda quindi che il lavoro della commissione non è di carattere consultivo ma decisionale “perché il Comune deve essere un palazzo di vetro in cui sono i cittadini a decidere”.
Ma a Capannori la democrazia diretta non si esaurisce con i 400mila euro e Del Ghingaro sta già pensando a un “bilancio di genere” per “ridurre le diseguaglianze tra le donne e gli uomini attraverso una più equa distribuzione delle risorse e la stesura di politiche ‘ad hoc’. “Vorremmo abbattere le barriere con l’aumento degli asili nido, più corsi di italiano per le immigrate e incentivi alle imprese femminili. Il governo ci ha tolto 2 milioni di euro di finanziamenti, ma non abbiamo tagliato il welfare a sostegno delle fasce più deboli della popolazione”, osserva il sindaco. “Perché questa – conclude – è una battaglia di civiltà”.

mercoledì 14 settembre 2011

Expo 2015 non s’ha da fare...


Nell'epoca in cui la gente si informa sul web, un'esperienza ottocentesca come la grande esposizione universale ha perso significato. Purtroppo il flop di Saragozza non ha insegnato niente.
Ma questa Expo 2015 a Milano, vale la pena farla? O il grande atto di coraggio della politica milanese sarebbe invece una sincera e motivata rinuncia? Il tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” vorrebbe toccare tutto ciò che riguarda l’alimentazione, dalla fame che investe ancora una parte rilevante della popolazione mondiale, all’educazione alimentare. Difficilmente un’esposizione può ambire a sfidare la soluzione di problemi così vasti, per i quali esiste già un’apposita organizzazione internazionale con sede a Roma, la Fao.

Rischia piuttosto di trasformarsi in un’ennesima operazione immobiliare, che invece di occuparsi di agricoltura, focalizza gli interessi su edilizia, urbanistica e archistar. Altro cemento, ferro, vetro. Tutte cose che con l’agricoltura non solo hanno poco a che vedere, ma ne rappresentano la negazione. E se c’è un posto sul pianeta dove parlare di questi temi e fuori luogo è proprio Milano, la città che con la sua disordinata urbanizzazione postbellica ha cancellato una delle agricolture più redditizie, equilibrate e ammirate del mondo, elevata a modello da Carlo Cattaneo a metà Ottocento. La città dove al risotto si preferisce ormai il sushi. Pare dunque una costosissima operazione di facciata, con grandi proclami su serre bioclimatiche, agroecosistemi, vie d’acqua, il restauro della Cascina Triulza “esempio dell’architettura rurale lombarda e un modello di produzione agricola”, simulacri fasulli di ciò che nella devastante realtà della periferia post-industriale di Rho non ha più nessun contatto con la realtà.

Ci rassicurano circa “una forte e coerente impostazione ecosostenibile. Gli edifici saranno progettati per essere smontati, riutilizzati o riciclati; sarà perseguita la massima efficienza energetica, dalla riduzione dei rifiuti non riciclabili, all’alta percentuale di raccolta differenziata per il riciclo, alla valorizzazione energetica, dalla riduzione dei consumi, all’utilizzo dell’acqua di falda, all’energia elettrica verde e autoprodotta all’interno del sito”. Costruire per smontare? Non è che tutto ciò sia a costo ambientale zero, l’energia consumata per il cantiere non torna più indietro, i rifiuti prodotti sono pur sempre rifiuti anche se riciclati. L’unico modo di essere sostenibili in questo caso è non cominciare nemmeno! E tutto ciò per cosa? Non certo per informare le persone su questi argomenti.

Oggi il principale veicolo di informazione sulle novità del mondo, è Internet. Un'esposizione dove la gente veniva a toccare con mano il progresso era all'avanguardia cent'anni fa e forse ha avuto ancora senso fino agli anni Settanta, ma ora in un mondo globalizzato e percorso dai dati in tempo reale di Internet, non ha più alcuna ragione d'essere. Le soluzioni progettuali concepite ora saranno già vecchie all'inaugurazione. Dunque l'obiettivo è il business? Da wikipedia si legge che "l'evento porterà a oltre 20 miliardi di euro d'investimento in infrastrutture, nel periodo 2010-2015 verranno creati 70.000 posti di lavoro, nei 6 mesi dell'Expo si stima che arriveranno 29 milioni di turisti, il fatturato del mondo imprenditoriale milanese aumenterà di 44 miliardi di euro, verranno creati 11 km² di spazio verde" Numeri sulla carta.

Ma chi dice che ci saranno 29 milioni di turisti? A Saragozza 2008 se ne attendevano 10 milioni e furono poco più della metà, provenienti per oltre il 95% dalla Spagna e solo per meno del 5% dall’estero… E chi andrà mai a innaffiare orti tra i capannoni di Rho Fiera nel dopo Expo? Dateli subito ora i lotti di terreno, a studenti, lavoratori e pensionati che l’orto ve lo faranno vero e a costo zero, e dimostreranno con i fatti e non sui rendering virtuali come si fa agricoltura urbana sostenibile.


Ma a chi fa gola oggi l'Expo 2015?

Pisapia che criticò aspramente il piano Expo 2015 in campagna elettorale, (sono quasi sempre delle bufale lo sapevamo, ma Pisapia ci offre l’ennesimo esempio). Nell’ottobre del 2010 l’allora candidato alle primarie per il centrosinistra aveva tacciato, l’accordo sull’Expo come “l’ulteriore vergogna del centrodestra”, e il suo architetto di fiducia Boeri, che fa parte attualmente della Giunta era dello stesso avviso. Insomma il programma sui terreni per l’Expo andava cambiato per Pisapia. In realtà la Giunta comunale ha approvato all’unanimità, il piano sui terreni così come era stato progettato dalla Giunta della Moratti e già decisa da Formigoni:
Le aree su cui realizzare l'Esposizione universale del 2015 (un milione di metri quadri, due terzi della Fondazione Fiera, controllata dalla Regione di Formigoni, un terzo del gruppo Cabassi) dovranno essere comprate da una società appositamente costituita, la Arexpo spa, che poi le metterà a disposizione della società Expo spa per realizzare l'evento. Costo dell'operazione aree: 120 milioni di euro, 80 alla Fondazione Fiera, 40 a Cabassi, sborsati dal Comune di Milano (38 milioni per avere il 51 per cento di Arexpo), dalla Regione (9,5 milioni per il suo 12,7) e dalla Fondazione Fiera (che ottiene il 34,9 per cento di Arexpo senza versare un soldo, ma conferendo i suoi terreni). Qualche euro lo metteranno anche la Provincia di Milano e il Comune di Rho, che nella nuova società avranno lo 0,7 per cento.
Qual è il problema per Pisapia? Che dopo averci messo tutti questi soldi, l'Expo dell'orto planetario progettato da Boeri diventa impossibile. Per rientrare dell'investimento, Comune e Regione dovranno tirar su case e uffici, altro che aree agricole e orti. Lo dice chiaro l'Accordo di programma: la Arexpo dovrà realizzare "la riqualificazione del sito espositivo privilegiando progetti mirati a realizzare una più elevata qualità del contesto sociale, economico e territoriale". Lo dovrà fare "al termine dell'esposizione universale mediante un intervento di trasformazione urbanistica". Chiuso l'Expo, arriverà il cemento. Lo permette l'indice urbanistico previsto, 0,52: almeno 520 mila metri quadri, concentrati sulla metà dell'area (l'altra metà dovrebbe restare a verde), che si aggiungeranno ai 230 mila metri quadri comunque previsti nel piano Expo. Totale, 750 mila metri quadri.
L'Expo naturale e tecnologico delle biodiversità si trasforma in un'operazione immobiliare, a tutto vantaggio dei bilanci della Fondazione Fiera. Formigoni ha detto a Pisapia: prendere o lasciare. E Pisapia non vuole e non può passare come il sindaco che appena arrivato fa perdere l'Expo a Milano.

Legambiente, con un comunicato ha ricordato l'esito di uno dei cinque referendum cittadini votati il 12 e 13 giugno a Milano: il parco dell"Expo deve rimanere parco anche dopo l'esposizione. "La richiesta di un parco dell'Expo, espressa dai cittadini è chiara", scrive Legambiente, "e non può essere elusa. Siamo consapevoli delle esigenze dell'evento, ma non possiamo far finta di non sapere che in quell'area si stanno accumulando previsioni per milioni di metri cubi di nuovi edifici, non solo nel recinto di Expo, ma anche a Cascina Merlata, Stephenson, Città della Salute. Il risultato non sarà la 'Dèfense' milanese, ma una bolgia di cemento. La città viene prima di Expo e degli interessi dei proprietari dei terreni".
Indebitarci (e cementificarci) per un flop immobiliarista, quindi?
Qualcuno può rispondere nel merito, e con argomenti convincenti, prego?
Dove, come e perchè andiamo a mettere 38 milioni di preziosi soldi nostri di un Comune di Milano lasciato in dissesto?
Perchè questo Expo è più importante dell'educazione e dei servizi sociali?
Perché questo Expo va fatto ad ogni costo?
Prendere o lasciare, secondo Formigoni?
Ma non dovremmo essere noi a decidere.